Giugno, archiviare
Il tema di questo mese è stato l’archivio: ripercorriamo insieme i pezzi che abbiamo pubblicato.
L’immagine del mese è una fotografia di Edoardo Vezzi che ringraziamo <3
[Budapest, Museo Casa del terrore (Terror Háza), 2022. Un carro armato T-54 sovietico ricorda la repressione da parte dell’URSS della rivoluzione ungherese del 1956. Dietro, i volti delle vittime di quei 20 giorni di Primavera di Budapest.]
Marco Arienti nel suo pezzo L’archivio del reale di enrico ghezzi ricostruisce l’idea autoriale di archivio di enrico ghezzi, filosofo e cinefilo. Per ghezzi: “l’archivio diventa materia viva inscritta nel linguaggio stesso della televisione, e parte dell’esperienza che lo spettatore fa di quel medium”. Schegge e Blob saranno due programmi Rai, ormai cult, che: “racconteranno questa materia viva in due modi opposti: Schegge proponeva un’attualizzazione dei materiali di repertorio, riportando in onda frammenti di archivio nel flusso della televisione del presente; dall’altra, Blob tenta una “repertorizzazione” o archiviazione istantanea della televisione del presente”.
L’archivio non è solo pratica semiotica ma è anche un luogo fisico di ricerca e catalogazione. Un esempio è il Centro di Documentazione Aldo Mieli di Carrara, fondato nel 2021 da Luca Locati Luciani: un archivio queer che si può definire come anti-archivio. Milo Lamanna ha intervistato Luciani per Stanca: “Il Centro di Documentazione rispecchia infatti una necessaria ambivalenza tra la sfera istituzionale e quella emotiva e affettiva. L’archivio raccoglie sia documenti ufficiali che materiale “effimero”. Gli oggetti di uso quotidiano e di “scarso valore” costituiscono la parte più importante dell’archivio queer: se la queerness è storicamente esistita come un “accenno”, codificato in modo da poter essere comprensibile e accessibile solo da chi aveva accesso agli stessi codici e linguaggi, la raccolta di ephemera ci permette di decodificare istanze e vite queer del passato, permettendoci di ricostruire una storia queer al di fuori della narrativa normativa”.
Archivi del contemporaneo è un festival che si svolgerà in Lombardia per tutto il mese di giugno con l’obiettivo di mettere in relazione musei e materiali contenuti negli archivi. Vittoria Brachi prende in esame l’archivio scelto per il Museo MA*GA e si chiede: “quanto è importante effettivamente l’archiviazione del lavoro di un artista? Quali sono gli sviluppi successivi all’archiviazione? In che modo è possibile fruire dell’archivio, considerando, come detto all’interno del libro Archivi impossibili (Baldacci) e di Introduzione all’Archivistica (Romiti), i limiti che sono imposti alla sua consultazione dalla legge? Quali sono le conseguenze della sua digitalizzazione, se è stata operata?”
Argento Meandri evidenzia gli elementi essenziali del funzionamento degli archivi digitali al fine di evidenziarne la natura essenzialmente fisica: “Quando parlo di archivio, mi riferisco al suo significato più ampio. Il museo, ad esempio, può essere considerato una specie di archivio, un luogo in cui vengono selezionate dalla moltitudine di opere d’arte esistenti, alcune che valga la pena esporre, ma soprattutto “registrare” al fine di essere tramandate. È meno controintuitivo di quanto si possa immaginare, ma i musei si muovono principalmente nel passato e nel futuro, e solo in minima parte nel tempo presente: si stima che, mediamente, solo il 3% delle opere d’arte incluse nella collezione dei più importanti musei al mondo vengano esposte e risultino quindi fruibili. Il restante 97% è tenuto in caveau blindati e inaccessibili dove la temperatura e l’umidità vengono controllate costantemente. Gli archivi sono quindi una tipologia architettonica molto specifica, spazi in cui la presenza dell’uomo talvolta è persino non auspicabile, progettati e costruiti esclusivamente per contenere cose”.
Archivio è prima di tutto immagazzinazione, una raccolta di informazioni. Francesca Martelli nel suo pezzo ci racconta che esiste un modo non convenzionale per utilizzare il DNA, un modo per sfruttare proprio le sue capacità archivistiche per qualcosa di nuovo. Martelli scrive che “l’essere umano desidera appropriarsi della capacità codificante e archiviante del DNA, molecola estremamente stabile e di dimensioni ridotte rispetto alla quantità di informazioni che è in grado di immagazzinare, per creare una alternativa ai database digitali e ad altre tipologie di archivi a rischio di obsolescenza o di deperibilità”.
Il DNA è anche al centro del pezzo di Giovanni Padua, che parte dalla teoria J. G. Ballard secondo cui il genoma umano e proprio il DNA è “una banca di memoria transorganica e la spina dorsale come reperto fossile”. Continua Padua: “è come se la civiltà coltivasse un inconscio al suo esterno, la realtà, e venisse a sua volta riprogrammata da questo inconscio ectopico.” Questa teoria ballardiana e altre idee psicotiche contenute nei testi The voices of time (1960) e in Drowned World (1962) sono riuscite a penetrare nella letteratura scientifica, come per esempio in alcune proposte di fisica speculative sulla panspermia guidata, ovvero l’idea che la vita sia stata coltivata, a cura di Orson e Crick.
Se Ballard speculava sul DNA come archivio transorganico, Lovecraft crea un vero e proprio archivio dell’orrore cosmico. Franco Cimei ci racconta come lo scrittore ci ha lasciato una vera e propria mitologia letteraria: fatta di mostri, divinità, città sepolte e civiltà aliene, un immaginario alimentabile anche dopo la sua morte. Cimei, infatti, ci ricorda che Lovecraft: “non ha prodotto disposizioni precise per la tutela dei diritti delle sue opere dopo la morte e questo ha condotto a diverse dispute, fino a una situazione di ambiguità burocratica che porta a considerare ancora oggi tutta la sua produzione letteraria come di pubblico dominio, quindi non sottoposta a nessuna restrizione particolare nell’uso, nella riproduzione e nella modifica. Quello di Lovecraft è una sorta di immenso archivio open-source che ha posto le basi per la creazione di innumerevoli film, libri, giochi di ruolo, videogiochi e altre forme transmediali, dando vita a una mitologia reale perché autosufficiente, in continua espansione e liberamente accessibile da chiunque”.
Come si finisce nell’archivio della polizia turca? ce lo racconta Enrico Maria La Forgia nel suo pezzo-reportage: “Sono mesi concitati per la Turchia: dopo le presidenziali vinte da Erdogan nel 2023 (probabilmente qualche broglio lo ha aiutato) il fronte repubblicano ha dato prova di grandi mobilitazioni per il centenario della Repubblica, facendo leva su quei valori nazionali che all’attuale presidente non vanno troppo giù. Ora che siamo prossimi al 21 marzo tutte le attenzioni sono rivolte a dove sto andando io, a est, al Bakur (Kurdistan turco), dove si festeggerà il Newroz, il capodanno curdo che coincide con l’inizio della primavera; eppure, sotto sotto, ogni turco pensa al 31 marzo e alle elezioni municipali, l’ennesima prova elettorale in cui si proverà a rosicchiare il potere di Erdogan, già ben avviato nella sua campagna preventiva di arresti, diffamazioni, proclami – poi, come verrà sentenziato dalle urne quasi due settimane dopo, il sistema di potere dell’AKP di Erdogan è in realtà più in crisi del previsto, con decine di municipi e comuni che saranno consegnati all’opposizione durante la tornata elettorale, ma chi se ne intende sa che è proprio in questi momenti che gli Stati autoritari dispiegano la repressione più violenta di cui sono capaci. Sono le 05:55 e l’autobus delle 06:00 è appena arrivato. Do un’ultima occhiata agli sguardi dei manifesti elettorali e salgo. Inizia il viaggio verso l’aeroporto, a mio modesto avviso, la tratta più rilassante dell’area mediterranea.”
Federica Ranocchia conclude questo mese di Stanca dedicato all’archivio e lo fa ponendosi una domanda: “quanto effettivamente siamo capaci di comprendere il qui e ora attraverso il paragone con un oggetto memorizzato? Daniel Kahneman suggerisce che non lo siamo affatto, anzi, spesso la memoria offusca la realtà esperienziale impedendoci di avere cognizione della realtà fisica perché ci spostiamo nell’ambito della realtà plausibilmente narrabile (cioè quella che deduciamo attraverso la logica).” Ranocchia ci ricorda che: “tutto questo ha a che vedere con come funziona il nostro cervello e con la contraddizione de facto tra esperienza, ricordo dell’esperienza e memoria intesa come prodotto culturale e sociale”. La memoria è quindi un archivio sì, ma forse meno affidabile di quanto pensiamo.
Questo mese torna anche Bar Stanca, il nostro format anarchico e incostante. Franco Cimei ha intervistato Lucio Massa, fondatore dell'Hacker P°rn Film Festival di Roma. Il festival che vuole hackerare ciò che si considera eccitante, osceno, sconveniente, segreto. Ogni anno presenta al Trenta Formiche, circolo Arci di Roma, il meglio del cinema kinky, weird, post p°rno e queer.
Ci siamo! Al prossimo numero <3